Le aree del cervello che ‘producono’ i sogni

Non c’è un’unica zona del cervello che, da sola, produca i sogni che facciamo mentre dormiamo; il sogno è qualcosa di complesso, che richiede il lavoro di diverse aree cerebrali (preposte alla visione, alle emozioni, ecc). Come si formino esattamente i sogni ancora non si sa di preciso, perché sono studi molto complicati e irti di ostacoli. La ricerca è cmq riuscita, in modo graduale e incrociando vari dati anatomici e funzionali, ad individuare alcune precise aree cerebrali che risultano più attive durante i sogni, più direttamente coinvolte nel processo onirico.
In questo articolo provo a riassumere le tappe più importanti di questi studi che pian piano hanno “stretto il cerchio” sulle zone del cervello che ‘producono i sogni’.

Il ponte? C’entra con il REM, ma non con i sogni

Non è stato semplice determinare quali aree cerebrali siano coinvolte nel processo onirico. Inizialmente si ipotizzava che i sogni avessero origine dal ponte, situato nel tronco encefalico, da dove ha origine anche il sonno REM; in effetti i primi studi incoraggiavano a ritenere che i sogni si verificassero con netta prevalenza durante il sonno REM, perciò sembrava plausibile che spiegando da dove nasce il sonno REM si spiegasse anche da dove nascono i sogni.

Le neuroimmagini mostravano che durante la fase REM c’era un incremento metabolico di queste zone cerebrali:

  • ponte 
  • talamo
  • aree limbiche (amigdala, ippocampo, cingolata anteriore)
  • zona occipito-temporale

Sembrerebbe plausibile ritenere che queste siano anche le aree del cervello più coinvolte nella formazione dei sogni.
Tuttavia le ricerche successive mostrarono che in realtà i sogni possono avvenire in qualsiasi fase del sonno (dall’addormentamento al risveglio), perciò il legame tra sonno REM e sogno si è molto ridimensionato.
Quindi questi studi di neuroimaging, specialmente se datati, vanno presi con molta cautela perché spesso ciò che mostrano non ha a che fare con il sogno in quanto tale, ma con la fase REM. Molti ricercatori ora ritengono che per capire davvero come si formino i sogni si debba tenere a freno la tentazione di assimilarli alla fase REM.

Se è vero che il sonno REM è controllato dall’attivazione del ponte, il sogno può verificarsi anche quanto ciò non avviene; il sogno, a quanto pare, ha un’origine diversa; ci sono molti indizi che alla formazione del sogno partecipino varie aree cerebrali, ma 2 in particolare; le aree limbiche, che contribuiscono anche a dare certe caratteristiche al sogno, e le aree frontali, che si attivano molto quando ci sono dei sogni visivi.

Ma come si può verificare se il ponte ha effettivamente un ruolo nella formazione dei sogni? È una pratica comune dei neurologi, quando non sanno a cosa serva una certa area cerebrale, creare una lesione per vedere ‘cosa succede’ quando è fuori uso; questi sono gli ‘studi lesionali’.
Quindi anche con il ponte basterebbe fare qualcosa del genere: basterebbe causare una lesione al tronco encefalico abbastanza grande da sopprimere il sonno REM, e vedere se anche i sogni cessano. Il problema è che una lesione del genere può comportare la perdita della coscienza, perciò non è eticamente ammissibile farla sulle persone; si potrebbe farla sugli animali, ma di certo loro non ci possono raccontare se hanno smesso di sognare.
Un’altra possibilità è chiederlo alle persone che accidentalmente hanno subito un danno proprio in quella zona cerebrale, ma casi del genere sono abbastanza rari.

L'immagine mostra dov'è il ponte all'interno del cervello; evidenziato in rosso.
L’animazione mostra dove si trova il ponte nel cervello; si trova all’interno del tronco encefalico.

Tuttavia, le prove a sostegno potrebbero essere ricercate partendo ‘dall’altro capo del filo: ovvero andando a ricercare, nel corso del tempo, tutti i casi di pazienti che hanno segnalato la cessazione del sogno, e vedere quale area cerebrale aveva subito danni. Questa paziente ricerca fu compiuta da Mark Solms, un neurologo che è al contempo anche psicanalista.

Solms risale alle due aree cerebrali che, se lesionate, comportano la perdita dei sogni

Negli anni ‘90 Mark Solms passò in rassegna i casi di questa assenza, rara ma documentata, di dream recall (ricordo del sogno), e la chiamò “anoneria”.
Solms poté così vedere che l’assenza di esperienza onirica non aveva mai a che fare con lesioni del tronco encefalico; quindi ciò metteva fuori gioco il ponte; sembrava invece che fossero implicate altre due aree, collocate nelle aree superiori degli emisferi cerebrali: 

  • Giunzione P-T-O bilaterale (giunzione temporo-parietale-occipitale): è un’area di intersezione tra il lobo temporale, parietale e occipitale, che anche nella veglia è associata all’immaginazione visiva. Quando viene danneggiata, si riscontra la perdita di caratteristiche visive dell’esperienza onirica.
  • Materia bianca in area frontale ventromediale (bilaterale), un’area cerebrale importante nella regolazione delle emozioni e coinvolta nel sistema limbico.
le aree cerebrali che, se danneggiate, comportano l'incapacità di sognare.
Le due aree cerebrali individuate da Mark Solms: se danneggiate, provocano incapacità di sognare.

Per inciso: le persone con anoneria, pur avendo perduto la capacità di sognare, erano comunque in grado di avere la fase REM; un’ulteriore conferma che i sogni non fossero così collegati al sonno REM come si era ritenuto inizialmente.

Con gli studi di Solms ha inizio la neuropsicologia, che cerca di associare certi dati assunti dal neuroimaging cerebrale con le caratteristiche dei sogni; cioè dalle scansioni si vede quali aree cerebrali sono metabolicamente più attive durante il sonno REM (la fase in cui si sogna di più) e si mettono in relazione alle caratteristiche dei sogni che emerge dai resoconti onirici; ad esempio:

  • Si sa che i sogni sono prevalentemente visivi, e ciò corrisponde all’attivazione della corteccia occipito-temporale.
  • Come emozioni prevale la paura, e infatti si attiva di più l’amigdala.
  • Non c’è consapevolezza di stare sognando, ci sono distorsioni temporali, al risveglio non si ricorda il sogno; e ciò è confermato dal decremento metabolico delle aree prefrontali

Anche se questa corrispondenza è molto suggestiva, occorre sottolineare che si tratta di due dati di diversa provenienza, uno empirico (neuroimmagini) e uno cognitivo (i resoconti verbali dei sogni), e l’uno non spiega necessariamente l’altro.

Queste strutture cerebrali sono anche le più sviluppate nei ‘grandi sognatori’

Uno studio ha fatto uso delle neuroimmagini per esaminare due tipologie ‘estreme’ di individui: quelli che ricordano moltissimi sogni VS quelli che non li ricordano mai (o quasi).
Lo scopo era confrontare questi due gruppi di individui per vedere se c’erano delle differenze nell’anatomia cerebrale.
È emerso che gli individui che ricordano molti sogni hanno PTO e corteccia prefrontale ventromediale più sviluppate, più grandi. Questa differenza anatomica si riscontra in tutte le fasi del sonno e anche nella veglia.

Questo risultato è in accordo con quello a cui era giunto Solms.

Più sono grandi ippocampo e amigdala, più i sogni risultano vividi e bizzarri

Un altro studio ha confermato il coinvolgimento di certe strutture cerebrali nella produzioni di sogni con certe caratteristiche; si è provato a fare risonanza magnetica su un ampio gruppo di individui, concentrandosi su due strutture, amigdala e ippocampo, che mediano l’elaborazione di emozioni e memorie anche durante la veglia,  per vedere se le differenze qualitative nei sogni (lunghezza, vividezza, intensità emozionale, bizzarrie, ecc) corrispondevano a diverse caratteristiche morfo-anatomiche di questi due organi. 

Si è visto che in effetti  quando  amigdala e ippocampo avevano un maggiore volume e integrità cellulare, c’era una più alta probabilità che la persona riscontrasse sogni bizzarri e più vividi, con particolari caratteristiche visive ed emotive.

Ruolo del sistema dopaminergico nel rendere i sogni vividi

La corteccia prefrontale ventromediale e l’amigdala sono delle aree del cervello coinvolte nell’elaborazione delle emozioni e hanno come neurochimica prevalente la dopamina; infatti fanno parte del sistema dopaminergico mesolinbico/mesocorticale

Schema del sistema dopaminergico cerebrale
Sistema dopaminergico cerebrale

Alla luce di quanto detto finora,  è stata formulata l’ipotesi che il sistema dopaminergico abbia un ruolo nel dare specifici aspetti qualitativi all’esperienza onirica, in particolare per quanto riguarda i contenuti emozionali dei sogni.

È molto difficile studiare la neurochimica del sogno, ma si è potuto appurare che: 

  • Il danno alla via dopaminergica si traduce in una perdita dei sogni. Infatti in passato la transezione o l’inibizione della via della dopamina veniva effettuata per ridurre le allucinazioni della schizofrenia, che sono simili a stati onirici.  
  • Al contrario, quando si innalza il livello dopaminergico, aumentano la frequenza e la vividezza dei sogni (senza che venga alterato il sonno REM).
    Questo si può vedere nei pazienti con il morbo di Parkinson, una malattia che comporta una drastica caduta dei livelli di dopamina. La terapia consiste nell’innalzare i livelli di dopamina con la somministrazione di farmaci come L-DOPA. Lo studio sui pazienti Parkinson ha dimostrato che effettivamente c’è un rapporto tra sogni e dopamina: più c’è dopamina, più i sogni sono vividi e frequenti.


FONTI E APPROFONDIMENTI: 

IMG: Wikimedia; Wikimedia; BruceBlaus

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