Il sogno premonitore di Mark Twain sulla morte del fratello Henry

Mark Twain, il famoso scrittore americano, ebbe nella sua giovinezza un sogno premonitore sulla morte del fratello Henry; un sogno che si trova spesso citato nei libri che parlano di premonizioni, perché è un esempio molto chiaro di come in un sogno si possa avere uno scorcio molto fedele di una realtà futura che, per quanto improbabile, si realizza proprio tale e quale come si è visto in sogno.

Il giovane Mark Twain e suo fratello Henry
Il giovane Mark Twain e suo fratello Henry, ilustrazione

Mark Twain era molto affezionato al fratello Henry, più giovane di lui di un paio d’anni; egli morì in seguito ad un incidente avvenuto sulla nave in cui stava lavorando; Twain si sentì responsabile, perché era stato lui ad iniziarlo a quell’attività. E questo sogno che aveva avuto qualche settimana prima della disgrazia arrovellò la sua mente per tutta la sua vita, proprio perché la grande quantità di dettagli che combaciano difficilmente può essere spiegata come una semplice coincidenza.

Ecco come Mark Twain racconta il sogno nella sua autobiografia:

Nel 1858 ero pilota a bordo del Pennsylvania, il rapido e popolare battello di New Orleans e St. Louis […] Poi nei primi giorni del maggio 1858, ci fu l’ultimo tragico viaggio di quella flotta e di quel famoso battello a vapore. Ho raccontato tutto in uno dei miei libri intitolato “Vita sul Mississippi”. Ma è molto difficile che abbia raccontato  il sogno in quel libro.  […] È impossibile che io possa mai averlo pubblicato, credo, perché non ho mai voluto che mia madre sapesse di quel sogno, e lei visse ancora diversi anni dopo aver pubblicato quel volume.

Avevo trovato un posto sul Pennsylvania per mio fratello Henry, che era più giovane di me di due anni. Non era per i soldi, ma per la possibilità di carriera. Lui era un semplice assistente, e come tale non riceveva salario, ma era il primo passo per salire di grado. Sarebbe potuto diventare terzo commissario, secondo commissario e poi capo commissario, ovvero commissario di bordo. Il sogno risale a quando Henry era assistente da circa tre mesi […] Lui era a casa solo di sera, dalle nove alle undici, poi andava sulla nave per essere pronto per le sue mansioni mattutine. La notte del sogno ci lasciò alle undici, stringendo la mano alla famiglia, e dicendo arrivederci, come si soleva fare. […] Questi arrivederci di Henry si svolgevano sempre nel salotto al secondo piano, e Henry scendeva da quella stanza al piano terra senza altre cerimonie. Ma quella volta mia madre lo accompagnò fino a dove iniziavano le scale e gli disse di nuovo arrivederci. Mi sembra di ricordare che lei sia stata indotta ad agire così  da qualcosa nell’atteggiamento di Henry; e rimase ad aspettare sulle scale finché lui non fu sceso. Quando lui raggiunse la porta, esitò, e risalì le scale per dirle di nuovo arrivederci.

La mattina mi risvegliai dopo un sogno; il sogno era così vivido, così realistico, che mi indusse in errore e io credetti che fosse vero. Nel sogno avevo visto il cadavere di Henry. Giaceva in una bara di metallo. Era vestito con uno dei miei abiti, e sul suo petto era posata una grande corona di fiori, quasi tutte rose bianche, a parte quella centrale che era rossa. La bara era appoggiata sopra a due sedie. Mi vestii e andai verso quella porta, con l’intenzione di entrare a guardare, ma cambiai idea. Pensai che non ero ancora pronto ad incontrare mia madre. Pensai di aspettare un po’ e prepararmi a questa pena. La casa era a Locust Street, poco sopra il numero 13, e io andai avanti fino al 14, fino a metà del blocco seguente, prima di realizzare improvvisamente, come colpito da un lampo, che non era vero niente… era solo un sogno. Posso ancora sentire la gratitudine, la gioia e il sollievo di quel momento, così come posso ancora sentire quel che rimaneva del dubbio, del sospetto che forse, in fondo, era vero. Ritornai nella casa di corsa, feci le scale due o forse tre gradini al colpo, e corsi in salotto… e ne ebbi conforto, perché non c’era alcuna bara là dentro.

Mark Twain prosegue raccontando che poi un giorno, parlando con il fratello, gli diede anche dei buoni consigli su cosa doveva fare in caso la nave fosse affondata, come se sentisse la necessità di prepararlo. Tuttavia circa un mese dopo il sogno successe un fatto molto grave, improvviso e imprevedibile, che costò la vita a molte persone: scoppiò la caldaia del battello su cui Henry prestava servizio. Mark Twain si recò subito a Memphis, dove i medici si affrettavano a soccorrere i superstiti; Henry purtroppo aveva gravi ustioni, e non si pensava sarebbe sopravvissuto, perciò fu data precedenza a chi aveva più possibilità di farcela. Nonostante questo, il ragazzo migliorò molto e ad un certo punto fu dichiarato fuori pericolo, benché necessitasse ancora di molte cure, soprattutto per sedare il dolore. Fu proprio questo a condurlo alla morte, perché nella situazione di emergenza successiva al disastro, un po’ per la carenza di mezzi e un po’ per l’inesperienza dei medici più giovani che erano accorsi a prestare aiuto, ad Henry fu somministrata una dose eccessiva di morfina:

… gli effetti fatali furono subito evidenti. Penso sia morto all’alba, non ricordo con certezza, Fu trasportato in obitorio, e io andai per un po’ nella casa di uno dei cittadini a smaltire la fatica accumulata. Nel frattempo qualcosa accadde. Le bare destinate ai defunti erano di legno di pino senza vernice, ma in quel caso, qualche signora di Memphis racimolò sessanta dollari con una colletta, e comprò una cassa di metallo; quando io tornai in obitorio Henry giaceva in quella cassa aperta, e indossava un vestito dei miei. L’aveva preso in prestito senza avvertirmi durante il nostro ultimo soggiorno a St. Louis; e riconobbi subito che il mio sogno di qualche settimana prima era esattamente riprodotto lì, man mano che questi particolari si verificavano. E pensai ci fosse un errore in un dettaglio; ma subito venne sistemato, perché proprio allora una signora anziana entrò con un grande bouquet di rose quasi tutte bianche, con una rosa rossa al centro, e lo pose sul suo petto.

Nella sua autobiografia Mark Twain racconta questo sogno ricordando di averne parlato in una precisa circostanza, una sera in un circolo con amici, quando la discussione cadde casualmente sul tema dei sogni. Uno dei partecipanti sostenne con convinzione che i sogni fossero prodotti fisiologici di nessuna importanza, che il loro contenuto fosse del tutto arbitrario e che nessun uomo sano di mente poteva attribuirgli il minimo credito.
Mark Twain replicò raccontando questo aneddoto della sua vita.
Un altro amico, il dottor Burton, ribatté con scetticismo, dicendo, alla luce anche della sua esperienza, che probabilmente egli aveva ripetuto questo racconto così tante volte da averci aggiunto molte cose di sua fantasia, e che sicuramente questa coincidenza così perfetta era frutto di un suo “abbellimento” nel raccontare.
Mark Twain ammise di aver raccontato questo aneddoto molte volte, ma affermò con sicurezza che non aveva mai messo nessun abbellimento, ma solo raccontato i fatti così come si erano verificati. Comunque il suo amico gli consigliò di non raccontare più questa storia, proprio per evitare il rischio di cominciare ad abbellirla con cose non vere.

Le parole dell’amico non gli misero dubbi sul fatto che gli era capitato, ma da quel momento Mark Twain non raccontò più quell’aneddoto. Ritenne comunque importante riportarlo nella sua autobiografia, e aggiunse anche un’altra parte:

Questo successe molti anni fa, e oggi è la prima volta che racconto quel sogno da  quando il Dr. Burton mi ammonì facendomi precipitare nel dubbio. Ma no, non penso di poter dire questo. Io non credo di aver mai avuto alcun dubbio sulle parti salienti del sogno, perché quei dettagli sono di tale natura che sono immagini,  e le immagini possono essere ricordate, quando sono vivide, molto meglio di quanto uno possa ricordare parole e fatti non concreti. Benché siano così tanti anni che non racconto il sogno, adesso posso ancora vedere quelle immagini così come erano davanti a me in quella stanza.
E non ho raccontato l’intero sogno. C’era ancora una buona parte da dire. Intendo che non ho raccontato tutto ciò che successe quando il sogno si realizzò. Dopo il fatto dell’obitorio, devo dire ancora un particolare, ed ecco quale. Quando arrivai a St. Louis con la bara erano quasi le otto di mattina, e io corsi nell’ufficio di mio cognato, sperando di trovarlo lì; ma lui non c’era, perché mentre io stavo andando al suo ufficio, lui stava andando al battello. Quando tornai al battello, la bara non c’era. Lui aveva dato ordine di portarla a casa sua. Mi affrettai là, e quando arrivai gli uomini stavano giusto tirando fuori la bara dal carro per portarla di sopra. Io li interruppi perché non volevo che mia madre vedesse la faccia del morto, poiché un lato del viso era contratto e distorto dagli effetti dell’oppio. Quando salii al piano di sopra, c’erano le due sedie, posizionate per appoggiarvi la bara, esattamente come le avevo viste nel mio sogno; e se fossi arrivato due o tre minuti dopo, la bara sarebbe stata adagiata sopra ad esse, precisamente come nel mio sogno di qualche settimana prima.

{Tradotto da me da “Autobiography of Mark Twain“, vol 1, pag 274 e seguenti}

In un’altra biografia, scritta poco dopo la morte di Twain da Albert Bigelow Paine e pubblicata nel 1912, c’è riportato questo medesimo episodio, ma c’è anche un piccolo significativo dettaglio in più: c’è  una piccola notazione, di poche righe, in cui si dice che Twain abbia raccontato a sua sorella Pamela quel sogno proprio il giorno stesso, e quindi prima che avvenisse la morte di Henry:

Tornò indietro, si precipitò in salotto, e sentì una grande sensazione di sollievo nel vedere che non c’era proprio nessuno. Raccontò il sogno a Pamela, e poi lo cacciò via dalla mente più in fretta che poté.

{Albert Bigelow Paine, “Mark Twain: a Biography”, cap. XXV}

Se ci si fida del biografo Albert Bigelow Paine, questa sarebbe una piccola prova (o quantomeno forte indizio) che il sogno non sia frutto di un ‘falso ricordo’, o ‘ricordo a posteriori’, avvenuto dopo la morte del fratello.

Mark Twain era per natura assai poco incline alla creduloneria; amava la scienza e la razionalità, aveva un approccio scettico nei confronti del soprannaturale ed era molto critico nei confronti della religione, spesso oggetto del suo sarcasmo piuttosto feroce.
Nutriva però interesse per l’indagine scientifica dei fenomeni paranormali, e fu infatti uno dei primi ad aderire alla Society for Psychical Research (SPR). Probabilmente quel suo sogno premonitore contribuì a stimolare il suo interesse in tal senso; può essere che cercasse di trovare una spiegazione razionale a ciò che gli era capitato personalmente.

Alcune risorse per approfondire:

Una ricerca interessante su questo famoso caso di sogno premonitore, condotta a partire dalle fonti; utile per discriminare le certezze dalle supposizioni:

Ho trovato una disamina psicanalitica di questo sogno, che prende in considerazione il rapporto tra Mark Twain e il fratello; l’ipotesi dell’autore è che la morte in Henry abbia turbato molto Mark Twain perché lui durante l’infanzia ha in qualche modo desiderato ‘fare del male’ a quel suo fratello tanto diverso da lui, più tranquillo, corretto, educato e sempre nel giusto (mentre Mark Twain era un monello); probabilmente allora quel sogno era un falso ricordo, una deformazione che ha riportato alla coscienza un desiderio inammissibile; l’autore sviluppa la sua ipotesi a partire da un’esperienza personale di sogno premonitore e dall’esempio fornito da Freud nel suo breve saggio “Un sogno premonitore realizzato”:

Immagine: illustrazione da Life on the Mississippi, 1883 Boston, Massachusetts, USA, pag. 237; via anomalyinfo.

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