I sogni nell’Induismo

Induismo” è una parola un po’ generica con cui ci si riferisce non ad un unico credo religioso, ma ad un insieme di varie correnti religiose, culturali e filosofiche del Subcontinente Indiano; traggono origine da culti religiosi che sono tra i più antichi del mondo e che si tramandano da millenni.
È un insieme molto eterogeneo, ma con un nucleo comune di valori in cui predomina una concezione spirituale dell’uomo e dell’universo.


I fondamenti dell’Induismo sono contenuti in antichi testi sacri; tra i più importanti ci sono:

  • I Veda: e raccolgono gli inni cantati dai Ṛṣi, ovvero saggi veggenti e cantori ispirati che nelle loro estasi hanno ricevuto delle rivelazioni divine e le hanno poi tramandate oralmente in forma di canto.
  • Le Upaniṣad, note anche come Vedānta: sono un insieme di testi religiosi e filosofici scritti a commento dei Veda, e ne completano l’insegnamento.

TERMINOLOGIA:

Brahman: energia cosmica, principio alla base di ogni essere. 

Atman: il vero Sé. L’uomo lo può percepire quando si libera dallo spazio e dal tempo, cercando gradualmente di staccarsi dal mondo e risalendo alla sua coscienza più interiore.

Māyā : natura illusoria del mondo, illusione, “magia”.

Samsara: successione ininterrotta delle esistenze.

Mokṣa: lo stato di libertà assoluta che si raggiunge con la liberazione dalle catene del nascere-morire (samsara).

Yoga: il termine letteralmente significa ‘unione’ ed è una pratica che mira a stabilire un’unione, un legame (che va conquistato a poco a poco) fra il Sé, (l’Atman), e il Tutto (il Brahman).

L’induismo come pensiero filosofico-religioso ha una finalità pratica, ovvero liberare l’uomo dalla sofferenza del vivere. La sofferenza proviene dall’attaccarsi troppo a ciò che non si ha o che non si può avere. È necessario liberarsi da questi desideri. Qualsiasi cosa, buona o cattiva, è guadagnata e meritata; l’uomo è responsabile della sua condizione, di ciò che è e di ciò che diventerà.

Ecco alcuni capisaldi delle filosofie e religioni induiste:

  • La realtà è Una: le singole cose che esistono, che sono esistite, che esisteranno, fanno tutte parte del Brahman (L’Uno) e ne condividono l’essenza. Il Brahman si trova nella dimensione terrena così come si trova nella dimensione divina, e anche nell’uomo.
  • L’Atman è uguale al Brahman: ovvero l’essere umano ha un Io Profondo, l’Atman, che è uguale al Brahman: nel momento in cui l’uomo raggiunge l’Illuminazione, allora può veramente dire ‘Io sono Brahman’. Ogni uomo ha in sé il divino, ogni uomo è parte del Tutto.
  • Il Brahman è fondamento di ogni cosa ed è in ogni cosa: è origine e fine di tutto. Perciò non esiste un mondo, una realtà a sé stante, diversa o separata dal Brahman. Ciò comporta anche che l’essenza ultima di ogni singolo vivente è il suo essere divino; è presente anche negli animali, a cui si deve perciò portare rispetto.
  • La realtà che noi percepiamo è un’illusione (Maya): l’Uno appare molteplice, riflesso in un numero infinito di io particolari; ma essi scompaiono quando si giunge alla consapevolezza dell’unico Io. Il mondo, la realtà così come appare ai nostri sensi è Maya, ovvero solo un’illusione, un ‘sogno’, un ‘gioco di Dio’. La realtà fenomenica è solo un modo di manifestarsi della divinità, una sua forma.
  • Nulla nasce, nulla muore, nulla finisce: sono solo nostre impressioni; in realtà niente veramente inizia e niente veramente finisce; tutto ciò che esiste è sempre esistito e sempre esisterà; quando finisce un ciclo di esistenza, ne inizia un altro.
  • Il corpo fisico può morire, ma l’Atman (l’Io profondo, il vero Io) non muore mai, è esso stesso Brahman. L’uomo muore e nasce continuamente a nuova vita; è in balia del ciclo di nascite e rinascite (samsara).
  • Il desiderio è ciò che rende l’uomo prigioniero della realtà fenomenica: finché l’uomo agisce per ottenere qualcosa di quella realtà, rimane vincolato ad essa e vi fa sempre ritorno; vita dopo vita, tornerà sempre al samsara. Se invece riesce a liberarsi da tutti i desideri, si congiunge con l’origine di tutto, con il Brahman; allora sarà liberato definitivamente.

Il mondo è un sogno, la realtà è Maya (illusione)

Colui che sogna, fintanto che ignora di stare sognando, fa esperienza del sogno come cosa reale; solo quando si sveglia comprende che non era così, che era tutto un sogno, e non ci pensa più.
L’induismo ritiene che anche il mondo fenomenico sia analogo ai sogni, solo che un sogno è un’illusione individuale, mentre il mondo fenomenico è un’illusione collettiva condivisa da tutti coloro che ancora non hanno raggiunto la liberazione. Questa illusione è il risultato della Maya.

In India l’idea che la realtà stessa sia un sogno ha radici molto antiche. Secondo antichi miti cosmogonici, l’intero universo è una proiezione o emanazione di un dio dormiente; tutto ciò che vediamo e percepiamo non è che un ‘sogno di dio‘. Il dio può essere Brahma o Visnù.
L’universo conosce varie fasi cicliche, che corrispondono alle fasi di sonno del dio: nel sonno profondo e senza sogni, l’universo si ritira, c’è una fase di involuzione, di quiescenza; poi quando il dio ritorna a sognare, ha inizio una nuova fase del ciclo (kalpa).

visnù addromentato sul grande serpente; il dio, sognando, crea il mondo
Una rappresentazione tradizionale della divinità Visnù mostra il dio mentre “sogna l’Universo in realtà”; Visnù è sdraiato sul grande serpente Śeṣa; Śeṣa ha molte teste e galleggia sulle acque dell’Oceano Cosmico. Dall’ombelico di Visnù nasce il fiore di loto, che simboleggia l’avvio dell’emanazione; sulla corolla del fiore è assiso Brahmā, il dio dell’emanazione; è rappresentato con quattro volti, uno per ogni Veda da lui recitato. La dea Lakshmi, moglie di Visnù, gli massaggia i piedi mentre lui dorme.

Nel pensiero indiano, Visnù sogna l’universo, che durerà fino a quando egli concluderà il sogno e ne disperderà i personaggi, noi compresi. Il dio dorme sdraiato su un grande serpente di nome Śeṣa; Śeṣa galleggia sul grande Oceano Cosmico.
Mentre Visnù dorme, la sua mente genera sogni, della cui materia noi e il nostro universo siamo fatti. L’invenzione del mondo è opera di Visnù.

Il sogno come stato di coscienza

Nella Māṇḍūkya Upaniṣad si parla del sogno come stato di coscienza. Questo antico testo spiega che nell’individuo l’Atman (il vero Sé) si presenta concretizzandosi in quattro parti che rappresentano al tempo stesso quattro livelli di coscienza:

  1. Stato di veglia (jāgarita-sthāna): in cui si ha conoscenza degli oggetti esterni.
  2. Stato di sonno con sogni (svapna): in cui si ha conoscenza degli oggetti interni.
  3. Stato di sonno profondo (suṣpita): in cui la conoscenza è sperimentata come beatitudine.
  4. Stato di trance, o quarto stato (cathurta=”quarto”, o anche turīya = “quarto” o anche “che consiste di quattro parti”): conoscenza-non conoscenza). stato di coscienza pura o l’esperienza della verità ultima. Questo è un quarto stato della coscienza che, allo stesso tempo, è sottostante e trascende gli altri tre stati comuni di coscienza.

Ogni stato di coscienza determina una diversa percezione della realtà. Passando attraverso questi quattro stati o livelli di coscienza, dal primo all’ulltimo stato, l’individuo perde sempre più consapevolezza del mondo fenomeico per lasciare spazio all’Atman, il vero Sé: allora si ha coscienza di sé come assoluto, come parte del tutto.

La Chandogya Upanishad riprede questa suddivisione e aggiunge quella dei quattro corpi: 

  1. Corpo fisico (nello stato di veglia): non dà la felicità perché può subire ogni tipo di attacco, malattia e afflizione. Il Sè è frammentato, si identifica con una miriade di oggetti, è soggetto al tempo, spazio e regole del mondo fisico.
  2. Sé corporeo (nei sogni): si muove liberamente nei sogni, non sottomesso alle limitazioni del corpo. Ma non dà la felicità perché non tutti i sogni sono felici, alcuni portano dolore e angoscia.
  3. Sé individuale (nel sonno profondo): nel sonno profondo si può essere felici, ma al risveglio non se ne ha ricordo, quindi non si sa. Tutte le facoltà del Sé sono unificate.
  4. Vero sé, spirito incorporeo che dimora in noi, quello che si trova oltre il sonno senza sogni, in cui  si perde ogni legame con il corpo; lì si trova immortalità e beatitudine eterna; ci si percepisce uniti agli altri e all’intero universo. È consapevolezza pura, coscienza della coscienza.

La conoscenza del Sé non è da intendere in senso psicologico, ma metafisisico, e implica diventare il Sé, diventare identici all’Assoluto, conoscere tutto. L’Atman è il Brahman, e non c’è più nulla da conoscere oltre il Brahman, lì c’è tutto; il Brahman comprende tutto il resto ma lo trascende: non è semplicemente una somma delle sue parti, ma un Oltre con cui niente può più essere identificato.

La conoscenza è importante, ma per conoscenza non si intende quella relativa alle cose materiali esterne a noi, quanto invece alla conoscenza della propria vera natura, del proprio vero Sè. Non occorre abbandonare il mondo, andare lontano, ecc. Occorre arrivare a percepire la distinzione tra il Sè (l’Atman) e il non-Sè (l’effimero, ciò che va abbandonato).

Mantenere la consapevolezza attraverso gli stati di sonno aiuta a distanziarsi sempre più dal mondo e dal corpo, per avvicinarsi all’Atman, all’assoluto. Coltivare la capacità del sognatore di essere consapevole che sta sognando è fondamentale per la pratica indiana dello Yoga Nidra ( e che si ritrova anche nella pratica buddista dello Yoga tibetano del sogno).

Lo Yoga Nidra è un tipo di yoga molto potente ed efficace; aiuta a mantenere intatta la lucidità e la consapevolezza di Sé attraverso i vari stati del sonno, sia quello con sogni sia quello senza sogni; lo scopo è quello di produrre una progressiva disidentificazione con i vari tipi di ‘corpo’ corrispondenti ai diversi stati di coscienza, per raggiungere un sempre più alto grado di liberazione.

Ma è possibile raggiungere la liberazione mentre si è ancora in vita? Secondo alcune scuole assolutamente no, altre invece sostengono che sia possibile. Un liberato in vita attende serenamente la propria morte, non toccato da afflizioni né fisiche né psichiche.

Il mantra Om

La Māṇḍūkya Upaniṣad propone un metodo per accedere al quarto stato (turiya): la recitazione consapevole del mantra Aum od Om, il più sacro e rappresentativo della religione induista; è oggetto di riflessioni teologiche e filosofiche, nonché strumento di pratica religiosa e meditativa.

mantra: espressione sacra che viene enunciata a scopo meditativo e/o religioso; può essere anche solo pensato, ma va sempre enunciato con la corretta intonazione, pena la sua inefficacia; non lo si può apprendere da un testo o da generiche altre persone, ma deve essere trasmesso da un guru, un maestro che consacri il mantra stesso.

Il mantra Aum è composto da tre lettere “A”, “U”, “M”, la cui corretta pronuncia dà come suono l‘Oṃ (e che si scrive come qui sopra in giallo).
Le tre lettere sono simboli sonori dei primi tre stati, come spiegano i sūtra III-8:11, per cui si ha la seguente corrispondenza:

  • Lettera A: stato di veglia.
  • Lettera U: stato di sonno con sogni.
  • Lettera M: stato di sonno profondo.
  • Suono Oṃ: nel suo complesso questo suono, inteso come unico, monosillabico, senza parti, non misurabile, è il quarto stato.

La sacra sillaba viene analizzata dividendola nei quattro vissuti che costituiscono lo stato di coscienza: veglia, sogno e sonno senza sogni, nonché, il quarto stato, turiya, al di là di ogni definizione è l’Ultimo, il Brahman.
Il quarto stato è ātman, è brahman, è al di là del tempo e dello spazio;: lì cessa ogni dualità, per cui di esso non si può dire né che è conoscenza né che è non-conoscenza: è uno stato indifferenziato nel quale il mutare tipico del mondo esperibile trova finalmente pace; è “calma assoluta”.

Ecco un video in cui viene recitato il mantra Om:

Oltre alla rappresentazione degli stati di coscienza, questo potente e importantissimo mantra viene spesso utilizzato per rappresentare simbolicamente la sintesi di altri concetti dell’induismo, sempre secondo la formula del “tre in uno”: c’è sempre un aspetto trascendente che va oltre il mondo sensibile, che lo racchiude e lo supera.

La ‘concentrazione in un unico punto’ mentre si dorme

Al fine di concentrare l’energia vitale in unico punto, esistono due pratiche yogiche:

  • Pratyahara, la “ritrazione dei sensi” che fa in modo che questi rimangano in se stessi, escludendo impressioni sensoriali ed emozioni’.
  • Ekāgratā, “fissazione su un unico punto”, che permette di arrestare il flusso psico-mentale e di
    giungere, poi, alla stadio successivo chiamato dhārāṇa, la “concentrazione”. Il punto in cui si attua questa contrazione-concentrazione in molti testi viene identificato con il cuore.

Ecco alcuni riferimenti presenti nelle Upaniṣad, in cui si parla della concentrazione e ritiro dei sensi mentre si è nel sonno:

“Quando un uomo è addormentato, quell’essere fatto di coscienza (letteralmente vijnana-maya puruṣah cioè “essere costituito dall’illusione della coscienza”) ritirando la coscienza mediante la coscienza dei sensi, riposa in quello spazio che è interno al cuore.” {B.A.U., II, 1,17 }

“Le sue forze vitali si sono allora unificate.” {B.A.U., IV, 4, 2}

“Quando si dice che un uomo dorme, egli allora è unito all’essere. Egli è entrato nel Sé (ātman) e per questo si dice che egli dorme, è perché egli è entrato nel suo Sé.” {Mānd. Up., VI, 8, 1}

“Quando un uomo assopito non percepisce sogni, è perché si unifica (le sue facoltà sensoriali si unificano) in questo spirito vitale. Indi la voce rientra con tutti i nomi, la vista con tutte le forme, l’udito con tutti i suoni, la mente con tutti i pensieri.” {Kaus.,Up., III, 3}

L’interpretazione dei sogni nell’induismo

In generale il pensiero induista non traccia una netta linea di demarcazione tra sogno e realtà: il sogno continua nella veglia, la influenza; il sognatore nella veglia fa quello che gli è stato proposto nel sogno. 

In sogno possiamo ricevere informazioni che provengono dalle nostre vite precedenti: le vite predenti che sono state buone producono bei sogni; le vite precedenti cattive producono invece brutti sogni, incubi (in accordo con la legge del Karma). 

La medicina tradizionale indiana (ayurveda) individua in aria, flegma e bile i tre elementi che costituiscono il corpo, in varie proporzioni; contribuiscono, con i loro equilibri e alchimie, a determinare diversi temperamenti o costituzioni fisiche, le quali possono essere inclini a certe malattie piuttosto che ad altre, ma anche a certi sogni piuttosto che ad altri; ad esempio:

  • Quando prevale aria : sogni vividi, di volo, di defunti, e sogni in cui si compiono azioni e movimenti; possono comparire scenari aridi e asciutti (deserto).
  • Quando prevale flegma: sogni di annegare, di sprofondare nel fango, oppure di mangiare, o di trovare soldi, o sogni d’amore. Sono in genere sogni placidi, in cui è molto presente la natura e l’acqua.
  • Quando prevale bile: sogni in cui compaiono fulmini e saette, lingue di fuoco, o il sole; frequenti scene di conflitti, litigi, lotta.

Se i sogni corrispondono al temperamento del sognatore, allora sono favorevoli; al contrario, sono infausti.

Nei Veda c’è qualche accenno all’interpretazione dei sogni; inoltre ci sono antichi testi che trattano in maniera sistematica questo argomento; le interpretazioni dei sogni indiane sono ampiamente citate in opere arabe medievali e nei testi greci e latini da esse derivati.
Il più antico testo sanscrito che tratti in maniera sistematica l’oniromanzia è il cap. 66 del Vṛddhayavanajātaka (Oroscopia secondo gli antichi Occidentali) di Mīnarāja. Molto popolare fu il breve Svapnādhyāya (Libro dei sogni) attribuito al ṛṣi Bṛhaspati. Nel 1175 d.C. Jagaddeva scrisse su quest’arte uno Svapnacintāmaṇi (La gemma dei desideri sul sogno); Jagaddeva ritiene che i sogni derivino in parte dal corpo e in parte da Dio; passa quindi in rassegna una serie di sogni dividendoli in beneauguranti, infausti e paradossali (ovvero che sembrano infausti ma invece portano bene, e viceversa).

I sogni profetici si verificano alla fine della notte, pronti per essere raccontati se sono favorevoli. Se non sono favorevoli, meglio non raccontarli, perché le persone non accettano volentieri le cattive notizie. Perciò, quando si fa un brutto sogno, meglio riaddomentarsi e aspettare che ne arrivi uno migliore.

Per avere sogni favorevoli è bene, prima di dormire, prepararsi con digiuno, preghiera, meditazione. Già nei Veda viene detto che ‘Colui che è sano, virtuoso, fermo, caritatevole e anche saggio, facilmente riceve nei sogni la consolazione che merita”.
Sogni in cui si vede la divinità o immagini religiose e pie sono considerati beneauguranti e sono tenuti in grande considerazione. 

I sogni sfavorevoli sono pericolosi, specie se effettuati dal sovrano o da persone importanti, che hanno delle grosse responsabilità. 
Si bandivano allora delle feste di purificazione in cui partecipavano fino a 100 sacerdoti, per mondare il male e il peccato. 
In generale, se si fa un sogno di cattivo augurio, si può rimediare con un rito apotropaico.


INFLUSSI E PUNTI DI CONTATTO CON L’OCCIDENTE:

È riconoscibile un certo influsso dell’induismo nelle religioni del mediterraneo; probabilmente già in tempi molto antichi si sono stabiliti i primi contatti, perché elementi simili alle tradizioni filosofiche dell’induismo sono rintracciabili nelle religioni mesopotamiche e nei culti dell’antico Egitto, ma anche, successivamente, nei culti misterici dell’Antica Grecia, nello Gnosticismo, in Plotino, , nella Cabala Ebraica, nel Sufismo; in generale, tutte le correnti mistiche delle religioni sono in qualche modo collegabili alla “matrice” dell’induismo, e questo diventa evidente se si esamina il tema del sogno presso le varie culture.


FONTI:

UN LIBRO PER APPROFONDIRE:

Klaus K. Kostermaier, Induismo. Una introduzione

IMG: Wikimedia



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